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Quando è in gioco l'interesse nazionale

di Franco Locatelli

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17 Ottobre 2008

La furia iconoclasta che accompagna la tempesta finanziaria manda in frantumi anche il codice Wimbledon ma riscopre il valore del patriottismo economico e dell'interesse nazionale. L'intenzione del Governo Berlusconi di correggere le nostre asimmetrie normative modificando la passivity rule delle società per difenderle dal pericolo di scalate ostili dei fondi sovrani risponde esattamente a questi orientamenti. Poco importa che i fondi sovrani, che gestiscono immense risorse degli Stati asiatici, russi e mediorientali ricavate dal petrolio e dall'export, non abbiano mai lanciato un'Opa ostile e che fino a qualche giorno fa fossero considerati i cavalieri bianchi del supercapitalismo piuttosto che i nuovi barbari alle porte. Nel gioco delle paure e delle speranze con cui anche i Governi devono fare i conti la percezione dei rischi vale talvolta più della realtà.
Quando l'emergenza finanziaria sarà finita si tornerà ad ammettere che ha una sua ragion d'essere la metafora presa a prestito dal torneo di tennis più famoso del mondo e applicata all'economia per dire che la qualità e l'efficienza di un'impresa contano più del suo passaporto. Ma bisognerà riconoscere che ogni regola ha le sue eccezioni e che dal punto di vista del sistema Paese produrre dentifrici non equivale a gestire la rete del gas. Ecco perché, in un'epoca dominata ancora dagli Stati nazionali, è del tutto legittimo un patriottismo economico che voglia difendere gli asset strategici di ogni Paese, a condizione che non si alzino troppo i ponti levatoi e che non si inciampi in derive protezionistiche.
Identificare una volta per tutte gli interessi economici nazionali di un Paese è un po' illusorio, ma collegarli alla difesa di asset insostituibili e determinanti per lo sviluppo generale non sembra irragionevole. Difendere l'italianità di reti come quelle del gas e dell'elettricità, delle tlc, delle ferrovie e delle autostrade o proteggere l'industria della difesa o anche le principali banche che raccolgono e indirizzano il risparmio non offusca il nostro europeismo e non esclude che, anche in asset così sensibili, i fondi sovrani possano assumere importanti quote di minoranza come hanno fatto i libici in Unicredit.
Il realismo vorrebbe inoltre che, in una fase delicata come l'attuale e nel rispetto delle regole del mercato, il patriottismo economico si preoccupasse di salvaguardare anche l'élite di imprese-simbolo del calibro della Fiat, delle Generali o di Mediobanca. Presidiare le grandi infrastrutture di rete, l'industria della difesa e le maggiori banche è fondamentale, ma non si può nemmeno ignorare che se oggi venissero scalate le imprese che rappresentano il cuore e l'immagine del Paese, l'Italia darebbe l'impressione di essere svendita e di non essere più in grado di mettere in sicurezza i gioielli della corona.
Ma c'è un punto cruciale su cui si addensano troppi equivoci: l'apertura dei mercati e la contendibilità delle imprese non sono diventate un lusso, ma sono elementi decisivi per la vitalità della nostra economia, che è dunque interesse nazionale difendere. Il rapporto con i fondi sovrani degli Stati emergenti va perciò collocato in questo quadro ma risolto a livello europeo e al di fuori da tentazioni autarchiche.
Per un Paese e un Continente che hanno bisogno come il pane di rafforzarsi sul piano patrimoniale sarebbe davvero bizzarro chiudere le porte ai capitali stranieri. Però nei confronti dei fondi sovrani Italia ed Europa devono trovare la franchezza che è finora mancata. I codici di trasparenza proposti nei mesi scorsi ai fondi stessi dalla Commissione europea e dal Fondo monetario sono un segnale apprezzabile, ma non vanno al cuore del problema, perché eludono il divieto per i fondi sovrani di assumere partecipazioni rilevanti o di controllo nei settori o nelle imprese che investono la sicurezza e l'interesse nazionale dei diversi Paesi dell'Occidente.
I fondi sovrani non sono i nuovi Cosacchi alla fontana di San Pietro e noi abbiamo bisogno dei loro capitali; ma l'Italia e l'Occidente non sono in liquidazione ed è meglio per tutti se le regole del gioco diventano finalmente più chiare.

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